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CRONACA

Affitti da pagare nonostante il lockdown: a Capri attività commerciali in affanno. Da Venezia arrivano i primi provvedimenti dei giudici: stop al canone di locazione

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Molte attività commerciali ed esercizi pubblici di Capri sono in affanno a causa degli affitti, in alcuni casi particolarmente onerosi, da pagare anche per il periodo di stop dovuto al coronavirus. Per circa due mesi, gli esercizi sono rimasti chiusi per il lockdown. Altri resteranno ancora a lungo senza la possibilità di riprendere il servizio. La domanda che molti commercianti, esercenti e imprenditori si sono posti è semplice ma allo stesso tempo di non facile risposta: il canone di locazione, per chi svolge l’attività in un locale in affitto, va ugualmente corrisposto o è opportuna una rivalutazione dell’importo o un azzeramento?

Una primissima “indicazione” arriva da Venezia attraverso due provvedimenti del giudice destinati a creare un precedente.

Niente affitto da pagare per i negozi che sono rimasti chiusi a causa del lockdown durante la pandemia di coronavirus. Come riporta il Gazzettino, sono due i provvedimenti sul tema del Tribunale civile di Venezia. Il primo caso riguarda un negozio di abbigliamento in un centro commerciale di Marghera che avrebbe dovuto pagare 50mila euro per tre mesi: per il giudice l’azienda, che si è trovata nell’impossibilità di operare a causa delle chiusure da Covid, non è tenuta a versare i canoni di locazione per i mesi di stop. Il blocco, infatti, è dovuto a una causa di forza maggiore per la quale l’azienda non ha alcuna responsabilità. Il tribunale civile di Venezia ha accolto il ricorso presentato dal negozio di abbigliamento e la giudice ha ordinato all’azienda di «non incassare alcun pagamento» dalla banca che ha emesso le fidejussioni a garanzia del versamento del canone di locazione, e alla banca ha ordinato di «sospendere o non procedere al pagamento» dei 50mila euro chiesti dal gestore del centro commerciale per l’affitto del locale dell’attività economica. La causa è destinata a proseguire, anche perché non sono state ascoltate le ragioni della società milanese, a cui è intestato il centro commerciale di Marghera, che invece deve poter discutere le proprie ragioni nel corso dell’udienza sul caso (fissata a fine giugno). Ma, almeno in questa fase di urgenza, la sentenza del tribunale di Venezia sospende per il negozio di abbigliamento il pagamento del canone relativo ai mesi di chiusura del negozio, per l’impossibilità di poter esercitare l’attività.

Il secondo caso è quello di un negozio di prodotti di pelle a Venezia: il giudice in questo caso ha ordinato di non procedere al versamento delle somme reclamate dalla proprietà dopo che la titolare dell’attività aveva deciso di chiudere a causa dei mancati incassi dovuti al lockdown. La proprietà dell’immobile ha ritenuto che gli fosse comunque dovuta la somma relativa al mancato preavviso semestrale e, di conseguenza, si è attivata per escutere la fidejussione rilasciata a garanzia.

Un caso analogo, che riguarda invece un hotel, è accaduto a Rimini: l’albergatore, non riuscendo a pagare l’affitto dell’hotel che gestisce, ha chiesto lo sconto al proprietario dei muri che ha rifiutato. Ma il giudice ha dato ragione all’albergatore. La sentenza del Tribunale civile di Rimini, come riporta la stampa locale, è il frutto di un’azione legale chiesta d’urgenza dall’avvocato Massimiliano Angelini, difensore di un riminese che gestisce un importante albergo sul lungomare di Marina Centro. Il contratto di locazione prevede come garanzia assegni bancari postdatati per un totale di 100mila euro, che, secondo l’albergatore, dovevano essere scontati del 50% a causa del lockdown e il blocco delle attività. Dopo aver impugnato il rifiuto del proprietario dell’immobile, ha avuto ragione in tribunale: il giudice ha infatti intanto bloccato la possibilità di incasso di tutti gli assegni dati in garanzia e il deposito cauzionale, rimandando al prossimo mese una successiva valutazione. «Il giudice riminese, che ha inteso favorire la ripresa dell’attività economica, interpretando e applicando l’articolo 91 del decreto Cura Italia – ha spiegato l’avvocato Angelini -, giustifica il congelamento della situazione di fatto anche con la mancanza di una conciliazione in buona fede tra le parti per una soluzione condivisa»

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